Natale del Signore - Messa del giorno (A)

GUIDA ALL'ASCOLTO
di Fulvio Rampi

L’introito "Puer natus" è senza dubbio uno dei brani più noti del repertorio gregoriano ed è divenuto simbolo dell’antica tradizione monodica natalizia. Il Graduale Romanum lo colloca in apertura della Messa del Giorno, la terza messa di Natale. Secondo una tradizione rintracciabile a partire dal VI secolo, infatti, il Natale conosce tre diversi formulari liturgici: la "Missa in nocte", la "Missa in aurora" e la "Missa in die". Tuttavia, la Chiesa Romana riconosceva in origine una sola eucarestia per il Natale – celebrata in S.Pietro – e precisamente quella divenuta in seguito la terza messa "in die". La prima messa "in nocte" ha origine dall’evoluzione e dal completamento della veglia notturna che, sotto l’impressione del Concilio di Efeso (431) che attribuisce a Maria il titolo di "theotòkos" (colei che genera il Figlio), finisce per concludersi con una messa papale nella basilica romana di S.Maria Maggiore. Infine, la "Missa in aurora" (la seconda messa) si è inserita fra le due, poiché il papa, sulla strada di ritorno verso S.Pietro, celebrava una messa per i Greci nella chiesa di S.Anastasia (K.Richter, Breve introduzione all’anno liturgico). E’ interessante dunque osservare che, per il Natale, il grado di importanza delle celebrazioni liturgiche è invertito rispetto alla Pasqua: a Natale il rito principale è la messa del giorno e le celebrazioni notturne e del mattino sono un’aggiunta; è noto, invece, che per la Pasqua la liturgia centrale – a sua volta centro dell’intero anno liturgico, con tutta la sua infinita ricchezza di simboli pasquali – è rappresentata dalla Veglia notturna, mentre la messa del giorno è un completamento tardivo.
Anche alla luce dell’evoluzione storica fin qui abbozzata, vale la pena continuare a seguire il singolare itinerario tracciato dagli introiti dei tempi di Avvento e Natale. Dopo gli introiti dell’Avvento, che annunciano il "grande mistero" (come direbbe Paolo) di una salvezza per tutti i popoli e invocano la "pioggia" del Giusto e il "germoglio" del Salvatore, ecco finalmente i testi delle tre liturgie natalizie, disposti sapientemente in un crescendo di rara densità espressiva, proprio in preparazione a quel "Puer natus" che ne rappresenta il momento culminante.
L’introito della prima messa notturna fa risuonare un versetto messianico del salmo 2 che, nella severa e scarna "traduzione sonora" gregoriana in II modo, contempla l’evento dell’incarnazione del Figlio, ponendone in risalto il rapporto divino col Padre: "Dominus dixit ad me: Filius meus es tu, ego hodie genui te" (Ps 2,7) ("Il Signore mi ha detto: tu sei mio Figlio, oggi io ti ho generato"). La seconda messa di Natale inizia con il richiamo ad una profezia di Isaia (Is 9,2.6) e pone da subito l’accento sul sostantivo "lux", chiara allusione alla messa "in aurora", che vede nella nascita di Cristo quella nuova luce a lungo attesa: "Lux fulgebit hodie super nos, quia natus est nobis Dominus…" ("La luce splenderà oggi su di noi, perché ci è nato il Signore…"). Finalmente, nella messa del giorno, il Figlio generato dal Padre (notte), la nuova luce che splende su di noi (aurora), prende ora forma nel "Puer natus". E’ sempre Isaia che offre il testo a questo introito (Is 9,6), laddove il profeta annuncia la nascita di un "bambino": traduzione corretta, questa, del termine "Puer", che risuona da subito in tutta la sua forza, ma in realtà traduzione assai riduttiva e, per certi aspetti, perfino fuorviante. La radice messianica di quel "Puer", invita a dilatarne la comprensione verso una prospettiva ben più ampia di un’atmosfera da presepio: lo stesso "bambino" è da subito inteso come "servo", chiamato a realizzare il piano salvifico del Padre e sulle cui spalle – come avverte la seconda frase dello stesso introito – è stato posto tutto il potere.
L’analisi del fraseggio musicale – come si dirà ora – chiarisce e conferma tale prospettiva esegetica, per la verità assai distante dalla nostra concezione dei "canti di Natale". Considerando la prima frase, possiamo notare che le vere sottolineature sono riservate a due termini: "Puer" (all’attacco del brano) e "datus" (nella seconda parte della frase). Le sillabe di accento di queste due parole sono dotate di figure neumatiche (rispettivamente di 2 e 3 note) che gli studi più recenti hanno scoperto essere veri punti di mira del fraseggio: l’intervallo di quinta sotteso dalle due note iniziali a valore allargato, ad esempio, rappresentano per il canto gregoriano il massimo "slancio" melodico possibile fra due note consecutive; di altra natura melodica, ma di pari densità espressiva, appare la successione di tre note sull’accento di "da-tus". Dunque, il cuore di questa prima frase è sintetizzabile nel binomio "Puer-datus": viene messa in evidenza, in sostanza, la dimensione del "dono", della "consegna", che l’intera umanità ha ricevuto con l’incarnazione del Figlio di Dio. In un gioco infinito di rimandi e di allusioni, che innervano il tessuto gregoriano, non possiamo dimenticare che alla Presentazione del Signore (2 febbraio, idealmente – anche se non liturgicamente – la vera conclusione del tempo di Natale) l’introito esordisce proprio con "Suscepimus, Deus, misericordiam tuam" ("Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia"), nel cui incipit ritroviamo, non a caso, quella speciale formula di forte accentuazione che aveva caratterizzato l’apertura dell’introito "Rorate coeli" alla IV domenica di Avvento. La "misericordia ricevuta" è Cristo stesso, consegnato in dono dal Padre all’umanità ("Puer natus") e dalla Vergine Maria al vecchio Simeone nel tempio ("Suscepimus").
A completamento del fraseggio della prima parte del nostro introito, colpisce il fatto che "nobis" riceva una sottolineatura decisamente inferiore ai due termini appena considerati. Questo "nobis", solitamente e troppo frettolosamente tradotto "per noi", è più semplicemente e letteralmente "a noi": "ci è nato un bambino", e non "per noi è nato un bambino". I testi del Natale rimangono in questa logica; "pro nobis" (per noi) appartiene ad un successivo sviluppo ("Christus factus est pro nobis usque ad mortem") che ritroveremo all’inizio e all’interno della Settimana Santa: è solo lì che il "per noi" – aggiunto dalla liturgia a "forzatura espressiva" dell’originale testo paolino – emergerà in tutta la sua forza.
"Cuius imperium super humerum eius" ("Il suo dominio è sulle sue spalle), come si è detto, precisa il senso della prima frase: l’accento di "imperium" raggiunge la culminanza melodica del brano e, per questo, diviene punto privilegiato del discorso musicale. Ma il complessivo andamento scorrevole che lo circonda, ridimensiona e subordina tale sottolineatura alla vera "manifestazione" della regalità e della potestà di Cristo, ovvero al futuro contesto liturgico della solennità dell’Epifania. Il recitativo sul Do acuto che sostiene l’ultima frase ("et vocabitur….") ne offre esplicita conferma: i valori delle figure neumatiche – come si evince dalle notazioni adiastematiche aggiunte alla notazione quadrata –  sono complessivamente leggeri e la modalità, perentoriamente dichiarata in tetrardus autentico (VII modo) già dall’intervallo di quinta all’attacco del brano, piega verso la corrispondente zona "plagale" (VIII modo), decisamente più contenuta e meno esuberante.