Terza Domenica di Quaresima (B)

GUIDA ALL'ASCOLTO 
del Communio Qui biberit

di Fulvio Rampi 

La pagina evangelica della terza domenica di Quaresima propone, per l’anno A del ciclo liturgico triennale, l’episodio dell’incontro fra Gesù e la Samaritana al pozzo di Sicar. È per questo motivo che il communio “Qui biberit aquam” – che trae il testo dal racconto di Giovanni – viene incluso dal "Graduale Romanum" fra i brani propri di questa messa festiva.
Va subito precisato che la collocazione originale di questa antifona – come ci rivelano le fonti manoscritte medievali – era diversa. Era infatti associata alla feria VI, cioè al venerdì, della terza settimana di Quaresima, ovvero qualche giorno più tardi, e comunque non in un giorno festivo.
Questa precisazione vale anche per le successive domeniche quaresimali, per le quali il Graduale del 1974, frutto della riforma liturgica post-conciliare, tende ad associare il communio, quando è possibile, al Vangelo del giorno.
Già si è notato, a proposito della seconda domenica di Quaresima, quali sono sia i vantaggi che i limiti di tale scelta, operata in base al principio di pertinenza, ma esposta al rischio di un difetto di coerenza.
Se la pertinenza attiene essenzialmente al testo, la coerenza investe il piano stilistico-formale. Lo spostamento di brani dalla loro collocazione originale è da valutare su entrambi i piani. Ad esempio, essi non coincidono – proprio per un difetto di coerenza – nella trasposizione dell'antifona dell’ufficio divino “Visionem quam vidistis” a communio della seconda domenica di Quaresima.
Altra cosa è invece lo spostamento del communio “Qui biberit aquam” da una messa feriale una messa domenicale. In questo caso, la pertinenza testuale si accompagna alla coerenza formale, trattandosi di un’antifona appartenente al repertorio della messa e destinata a uno stesso momento rituale, quello della comunione.
Per completezza, tuttavia, va detto che anche quando la risistemazione messa in atto dal Graduale del 1974 soddisfa i principi di pertinenza e di coerenza formale, viene frequentemente messo in ombra – come in questo caso – un altro principio di coerenza, di impronta segnatamente liturgica, seguito dagli antichi codici in merito all’organizzazione del repertorio dei canti.
Si tratta, nella fattispecie, della originale disposizione delle antifone quaresimali di comunione, dal mercoledì delle Ceneri al sabato che precede la domenica delle Palme. 
Salvo precise eccezioni, nel rito romano i testi di tali antifone sono tratti dal salterio in rigoroso ordine numerico progressivo, a cominciare dal communio “Qui meditabitur” (salmo 1, mercoledì delle Ceneri) per finire con il communio “Ne tradideris me” (salmo 26, sabato della V settimana di Quresima). Se tutto ciò lascia supporre una sistematica organizzazione delle messe stazionali (celebrate ogni giorno facendo sosta, "statio", in una diversa chiesa di Roma), risulta altresì evidente come il testo salmico di queste antifone di comunione non abbia diretta attinenza con le letture della messa corrispondente.
Fra le eccezioni al suddetto ordine si inserivano, in alcune messe feriali, antifone di comunione con testo ripreso dai Vangeli, in particolare da Giovanni. Il Graduale del 1974 attinge appunto a questi brani per la compilazione delle messe festive – secondo i criteri sopra esposti – a partire proprio dalla terza domenica con il communio “Qui biberit aquam”.
Il testo di questa breve antifona ricorda il momento centrale dell’incontro di Cristo con la Samaritana: sono le parole che Gesù le rivolge e che risuonano come annuncio di salvezza.
La risposta musicale a una concisione testuale di tale densità si incarna nella forma antifonata del communio e nello stile compositivo semiornato, ad essa strutturalmente connesso. Uno stile che, per la verità, oscilla fra il sillabico e il semiornato, creando sia momenti di fraseggio attraverso l’impiego di figure neumatiche essenziali, sia neumi di poche note per sillaba, disposti con consumata arte retorica mirata a rivelare il senso del testo attraverso un sottile gioco di equilibri di valore.
Appare in tutta la sua evidenza – segnatamente in questi casi che uniscono l’essenzialità della linea melodica alla minima dotazione di suoni per sillaba – uno dei pilastri portanti della costruzione gregoriana, ossia la componente retorica come veicolo di esegesi.
Non può che riecheggiare, a tale proposito, la grande lezione di Agostino, sulla quale il canto gregoriano ha radicato il proprio progetto complessivo. Nel suo trattato “De doctrina christiana” egli insegna i “principi fondamentali dell’arte del parlare”, che potremmo considerare come una prima lezione di canto gregoriano.
Fondandosi sulla concretezza storica della tradizione della Chiesa e applicando le tecniche classiche dell’oratoria sviluppate da Cicerone, Agostino individua i tre stili dell’eloquenza: semplice, moderato, sublime. Il possesso dell’eloquenza e dell’arte retorica, secondo Agostino, sono a servizio della verità e la varietà di stili ne assicura l’efficacia persuasiva.
Come non accostare gli stili dell’eloquenza agli stili compositivi della melodia gregoriana? Se lo stile “sublime” trova riscontro nelle composizioni ornate e ricche di virtuosismi, gli stili “semplice” e “moderato” trovano corrispondenza diretta nei canti sillabici e semiornati.
Il nostro communio si muove in quest’ultima area: le sottolineature espressive sono infatti realizzate facendo uso di figure elementari a valore allargato. Nella prima frase, ad esempio, in un andamento complessivamente scorrevole, spicca la sottolineatura melodico-ritmica dell’accento del primo sostantivo “àquam”. Sottolineatura realizzata con due note ascendenti – "pes" – a valore largo e resa ancor più decisa dalla preparazione scorrevole dell’intero contesto precedente: “Qui biberit”.
La prima sottolineatura, pertanto, è posta in modo evidente su “aquam”, che diviene il titolo significativo del racconto. L’indugio realizzato con l’utilizzo di una grafia liquescente – "cephalicus" – sul successivo pronome “quam” (differenziandolo in tal modo dalla precedente sillaba finale di “a-quam”), introduce una seconda sottolineatura su “ego”, necessaria per precisare che è Cristo stesso a dare quell’acqua.
Dopo l’inciso di raccordo “dicit Dominus Samaritanae” – nel quale viene confermato l’impianto modale del brano in "tetrardus" autentico, o settimo modo –, segue la seconda e ultima frase, nella quale possiamo individuare altre significative sottolineature.
È interessante notare, ad esempio, come nell’inciso “fons aquae salientis” ciascun accento sia dotato di figure neumatiche a valore largo. All’interno di questo frammento testuale spicca la significativa aggiunta di una nuova liquescenza – "ancus" – sulla sillaba tonica dell’aggettivo conclusivo “saliéntis”. L’arrotondamento sillabico che ne consegue dilata ancor di più il valore dell’intera parola e, creando un punto privilegiato di fraseggio, precisa la qualità dell'acqua offerta da Cristo.
La cadenza finale – “dulcis in fundo”, viene da dire – coincide con la sottolineatura più importante di tutto il brano. Quest’acqua è “per la vita eterna”. Sull’accento di quest’ultima parola troviamo infatti un vero e proprio melisma, tanto più evidente se rapportato allo stile contenuto del communio. Segno di un’amplificazione sonora – e dunque di senso – riservata a questo momento cadenzale conclusivo.