Quinta Domenica di Quaresima (B)

GUIDA ALL'ASCOLTO 
del Communio Videns Dominus flentes

di Fulvio Rampi 

Le antifone di comunione del tempo quaresimale mostrano la complessità delle vicende liturgiche che ne hanno determinato la collocazione e i diversi spostamenti.
L’insegnamento più immediato che se ne può trarre è che un communio gregoriano non è – come forse normalmente si pensa – un canto eucaristico. Il testo di questo momento della messa, che nella maggioranza dei casi è tratto dal libro dei salmi, allude piuttosto alla pagina evangelica di quella stessa celebrazione e ne costituisce un ulteriore commento.
Anche in questo caso, come nelle precedenti domeniche quaresimali, il testo del communio è la sintesi di un episodio evangelico e come tale è il frutto del sapiente accostamento di parole, incisi, frasi che riescono a offrire in modo conciso il senso di un racconto, di una parabola, di un insegnamento.
Il communio “Videns Dominus” narra il miracolo – o per meglio dire, il “segno” – della resurrezione di Lazzaro, che l’attuale liturgia colloca alla quinta domenica di Quaresima del ciclo A del lezionario.

Il testo dell’antifona attinge a cinque versetti del capitolo 11 del Vangelo di Giovanni, traendone poche frasi che non solo riassumono efficacemente lo svolgimento della vicenda, ma vengono accostate con un abile e preciso procedimento di centonizzazione. Ne risulta un crescendo di intensità espressiva (“climax ascendente”) che, partendo dalla narrazione ordinaria, raggiunge gradualmente il suo culmine nel comando di Cristo proclamato ad alta voce (“Lazare, veni foras”; Lazzaro, vieni fuori) per poi ridiscendere altrettanto gradualmente (“climax discendente”, o “anticlimax”) dopo l’attestazione dell’avvenuto miracolo. 
Il brano si sviluppa in stile quasi interamente sillabico e merita attenzione soprattutto per la testimonianza che ne offre – almeno nella prima metà dell’antifona – la notazione di Laon, quella riprodotta sopra le note quadrate della notazione Vaticana.
Se la sottostante notazione di San Gallo affida come sempre alla "virga" ( / ) e al "tractulus" ( – ) l'indicazione degli accenti acuti e gravi dei brani sillabici, il codice di Laon opera invece una evidente distinzione fra la prima e la seconda semifrase. Distinzione che è utile rimarcare in questo contesto perché attiene al carattere della narrazione.
Il codice Laon 239 – il più illustre della famiglia dei codici di Metz, scritto nel X secolo – utilizza una specifica forma grafica, detta “uncinus”, che incontriamo regolarmente in questo brano a partire dal "lacrimatus" della seconda semifrase.
Questa cellula notazionale di base varia le proprie dimensioni in rapporto al valore musicale che intende rappresentare: da ordinario valore sillabico – tradotto dall’"uncinus" di normali dimensioni – si passa a una indicazione di speciale scorrevolezza ritmica per mezzo del rimpicciolimento della grafia a semplice punto.
La logica dei codici di Metz, estranea a quelli di San Gallo, appare qui in tutta la sua singolarità e mostra il differente andamento del recitativo nelle prime due semifrasi.
Il pianto delle sorelle di Lazzaro è segnato dal codice di Laon con una successione di punti, interrotta solo da un "uncinus" con la "t" di “tenete” sull'accento di “fléntes”. Questa sottolineatura trova corrispondenza nella sottostante notazione di San Gallo nella "virga" dotata di “episema” (cioè del trattino aggiunto alla sommità della "virga" stessa, che ne amplifica il valore) ed è l’unica punta espressiva nel fluire scorrevole della prima semifrase.
Viene dunque sottolineato il pianto (“flentes”) delle sorelle di Lazzaro, ma si tratta di un pianto sommesso, subito superato in importanza dal pianto di Cristo stesso che, come dice il testo di Giovanni con un’espressione unica in tutto il Vangelo, “scoppiò in lacrime” ("lacrimatus est"). Per questo motivo, questa seconda semifrase viene notata non più con dei semplici punti, ma con una successione di uncini, dunque con valori pieni, che vengono mantenuti fino al culmine espressivo raggiunto sul forte comando di Cristo: “Lazare, veni foras”.
Se la notazione di Laon ha messo in luce le differenze ritmiche – dunque di significato – riscontrabili nella prima parte dell’antifona, è ora la grafia di San Gallo, sotto il rigo della Vaticana, a giocare le sue carte migliori su questo potente inciso centrale. 
Troviamo infatti una eloquente virga episemata, di valore largo, sull’accento di “Làzare”, ma troviamo soprattutto due virghe episemate consecutive su entrambe le sillabe di “foras”: si tratta di una sottolineatura particolarmente forte di questo inciso.
Ma, nella logica di Einsiedeln 121 – il testimone più illustre della scuola di notazione sangallese – c’è ben di più. Questo prezioso codice, in tutto il suo sterminato repertorio della messa, utilizza lo stesso procedimento (due virghe episemate consecutive su sillabe monosoniche) in un solo altro caso: precisamente nel communio "Oportet te", anch’esso quaresimale e con testo evangelico.
Questa breve antifona racconta la conclusione della parabola del figliol prodigo (Luca 15, 32) là dove il padre si rivolge al figlio maggiore: “Frater tuus mortuus fuerat et revixit” (tuo fratello era morto ed è tornato in vita). È precisamente su quest’ultimo verbo (“revixit”) che troviamo le due virghe episemate consecutive. La forza espressiva di questa segnalazione sangallese trova piena ragione e profondo significato nel fatto che, in tutto il repertorio, questo codice riservi a questi due soli casi un trattamento così speciale. Essi sono accomunati dal fatto che parlano di vicende di resurrezione. La loro vera forza espressiva, inoltre, si rivela in pienezza solo nella comprensione del loro reciproco richiamo.
Il culmine espressivo del communio "Videns Dominus" coincide con l’apice melodico del brano, dal quale la costruzione modale scende progressivamente per raggiungere, con ritmo ordinario e procedimento sillabico, l’importante cadenza finale.
La chiusura dell’antifona insiste su un aspetto di grande rilevanza, che nel testo evangelico fa da premessa al segno miracoloso: Lazzaro era "quatriduanus mortuus", morto da quattro giorni. La monodia gregoriana concentra la sua attenzione su queste due parole finali. Viene amplificato il peso delle due note discendenti ("clivis") sull’accento di “quatriduànus”. E la cadenza finale su “mortuus” viene arricchita di note in modo del tutto speciale in rapporto allo stile sillabico mantenuto fino a quel punto.
Infine, va segnalata una particolarità che interessa il versetto del salmo che accompagna l’antifona. Gli antichi manoscritti ci sorprendono con una scelta commovente: al pianto delle sorelle di Lazzaro e al pianto del Signore si associa il nostro pianto (“ploremus ante eum”, piangiamo davanti a lui) in questa quinta domenica di Quaresima un tempo chiamata "prima domenica di Passione”.