Domenica delle Palme (C)

GUIDA ALL'ASCOLTO 
di Fulvio Rampi 

Domenica delle Palme
Graduale “Christus factus est”

Testo:
Christus factus est pro nobis oboediens usque ad mortem,
mortem autem crucis.  (Fil. 2, 8) 

Versetto:
Propter quod Deus exaltavit illum
et dedit illi nomen quod est super omne nomen. (Fil. 2, 9 )

Traduzione:
Cristo si è fatto per noi obbediente fino alla morte,
alla morte di croce.
V. Per questo Dio lo ha esaltato
e gli ha dato il nome che è sopra ogni nome.


Il graduale “Christus factus est” è forse uno dei brani più noti del repertorio gregoriano. Pur non essendo affatto un brano popolare (è composto in stile decisamente fiorito e per questo è assegnato alla schola per la parte responsoriale e al solista per il versetto), la sua notorietà gli deriva innanzitutto dal celebre testo paolino a cui fa riferimento e dalla contestualizzazione liturgica all’interno della Settimana Santa. Anche in questo caso, tuttavia, come si è detto per diversi altri canti gregoriani del repertorio quaresimale, si può osservare una collocazione variabile nei libri liturgici. Fino all’edizione del Graduale Romanum del 1974 (GR1974), al quale oggi facciamo riferimento, questo brano costituiva il graduale (il canto che segue la prima lettura) della “Missa in Coena Domini” del Giovedì Santo. Il suo utilizzo sconfinava però ampiamente nella liturgia dell’Ufficio Divino e interessava tutto il Triduo sacro, con particolari modalità esecutive: il Giovedì Santo veniva cantata solo la prima frase (“Cristus….usque ad mortem”); il Venerdì si aggiungeva la seconda frase, completando così la parte responsoriale (“mortem autem crucis”) e il Sabato veniva eseguito l’intero brano con tanto di versetto (“Propter quod….”). Il GR1974 – frutto dell’ultima riforma liturgica – ha assegnato a questo brano una nuova doppia collocazione: lo troviamo infatti nella messa della Domenica delle Palme e all’azione liturgica del Venerdì Santo. In entrambi i casi esso non è previsto dopo la prima lettura (quest’ultima è seguita da un tractus), ma dopo la seconda lettura: non può sfuggire il fatto che, nella fattispecie, si tratta di una collocazione anomala, se non altro perché un graduale ha finito per sostituire la consueta presenza di un tractus prima della lettura evangelica. La successione dei canti fra le letture prima del GR1974 prevedeva in ordine, alle Palme, il graduale “Tenuisti” e il tractus “Deus, Deus meus” ; al Venerdì Santo, eccezionalmente, vi erano due tractus senza alcun graduale (“Domine audivi” e “Eripe me”). 
Lo spostamento del graduale “Christus factus est” dalla sua sede originale del Giovedì Santo alle Palme, oltre a determinare la suddetta anomalia, ha messo un po’ in ombra la potente valenza espressiva che emerge proprio dalla successione pensata anticamente per i canti della “Missa in Coena Domini”. E’ infatti in questo singolare contesto che il nostro graduale diviene “titolo” del percorso del Triduo pasquale. La stessa messa del Giovedì, scelta come luogo liturgico più idoneo per questo graduale un po’ speciale, vede anche la presenza, negli antichi codici, di un offertorio altrettanto speciale: “Dextera Domini”. Il testo di questo brano è tolto dal salmo 117: “Dextera Domini fecit virtutem….non moriar, sed vivam et narrabo opera Domini” (“La destra del Signore ha fatto meraviglie…..non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore”). Proclamare questo testo di lode all’inizio del triduo pasquale – accompagnato dalla ricchezza musicale che gli aggiunge a piene mani il canto gregoriano – rappresenta una forte provocazione, in parte edulcorata dallo spostamento di questo brano, come è riportato nel GR1974, alla Veglia pasquale. Cantare lo stesso testo all’inizio o alla conclusione del grande triduo, non ha la stessa valenza simbolica.
Ma torniamo al nostro graduale e vediamo di scoprirne le caratteristiche salienti. Innanzitutto il testo. Si tratta, come si è detto, del celebre “inno” paolino contenuto nella lettera ai Filippesi (Fil. 2, 8-9), ma con un’aggiunta di particolare importanza nella prima frase: il testo biblico, infatti, non  prevede la precisazione “pro nobis” che, in questo specifico contesto, come si dirà, risulta essere una novità decisiva nella costruzione musicale della parte responsoriale.
A proposito di costruzione musicale, ci troviamo di fronte ad un “graduale di V modo”. Nel grande capitolo dell’estetica gregoriana, tale netta classificazione definisce già la natura stilistico-formale del brano in questione: si tratta, nella fattispecie, di una “melodia-centone”, ovvero di una composizione a “mosaico”, formata dalla giustapposizione (centonizzazione, appunto) di macro tasselli formulari. La somiglianza fra i numerosi graduali di V modo, disseminati nel repertorio della messa, deriva precisamente da questo “thesaurus” di incisi formulari variamente assemblati su testi diversi, ma legati fra loro da una comune matrice espressiva. Nel nostro caso, inoltre, l’allusione formulare prende corpo in modo pieno nel rimando specifico ad un altro graduale di V modo, che così recita nella parte responsoriale: “Ecce sacerdos magnus, qui in diebus suis placuit Deo” (“Ecco il grande Sacerdote, che nei suoi giorni piacque a Dio”). E’ un testo del libro del Siracide, che gli antichi codici gregoriani collocano a conclusione dell’anno solare (S.Silvestro); risulta tuttavia evidente la lettura cristologica che ne offre il canto gregoriano: è Cristo il grande Sacerdote, colui che si è fatto per noi obbediente fino alla morte di croce. I due graduali (“Christus” e “Ecce Sacerdos”) sono del tutto identici e si illuminano a vicenda in una reciproca esegesi sonora: in questo caso, più che di melodia-centone, si potrebbe parlare “tout court” di “melodia-tipo”, ovvero di una melodia formulare che abbraccia l’intera composizione.
La linea melodica del graduale “Christus factus est” necessita di alcune brevi osservazioni. Nel primo inciso, lo stile recitativo con la reiterazione della nota Fa (ovvero la corda rappresentativa della modalità di appartenenza del brano) è interrotto da una vistosa ornamentazione melismatica in corrispondenza  di “pro nobis”. Prima di spingersi all’acuto, la melodia si attarda proprio su questa “appendice testuale” e allarga al tempo stesso i valori dei singoli suoni. La sproporzione fra il recitativo iniziale e questa solenne amplificazione melodico-ritmica è evidente e manifesta la chiara intenzione di assegnare a questa prima cadenza un peso espressivo di particolare rilevanza. “Per noi” Cristo si è fatto obbediente: è questo il concetto che il canto gregoriano, in questa settimana così centrale nel percorso dell’anno liturgico, vuole porre in risalto facendo ricorso alle sue più efficaci tecniche compositive. Inoltre, se torniamo a considerare l’originale destinazione di questo graduale, come non associare intimamente questo “pro nobis” alla liturgia eucaristica del Giovedì Santo? Non è forse nel contesto dell’Ultima cena – della quale la “Missa in Coena Domini” fa particolare memoria – dove Cristo offre il suo corpo e il suo sangue “per noi” ?
Dopo una perentoria ascesa nella parte centrale del “responsum” (affidato alla schola), l’arco melodico torna a toccare le regioni gravi in corrispondenza dell’ultima parola: “crucis”. L’importanza di questo sostantivo, visto il contesto, appare scontata ed è resa musicalmente dal prolungato melisma sulla sillaba finale. C’è anche spazio, infine, per alcune “illustrazioni melodiche” del testo: sempre su quest’ultima sillaba, infatti, viene toccata la nota più grave (Do) di tutto il brano, a significare l’estremo “abbassamento” di Cristo sulla croce. Con la medesima logica e con opposto carattere, il travolgente versetto solistico tocca, subito dopo, le estreme regioni acute; dopo aver narrato, nella parte responsoriale, la “kenosis” di Cristo, il canto gregoriano proclama con il versetto la sua esaltazione e ne celebra “il nome che al di sopra di ogni altro nome”.