Domenica di Pasqua - Messa del giorno (C)

GUIDA ALL'ASCOLTO 
di Fulvio Rampi 


Domenica di Pasqua
Introito “Resurrexi”

Testo:
Resurrexi, et adhuc tecum sum, alleluia. Posuisti super me manum tuam, alleluia.
Mirabilis facta est scientia tua, alleluia, alleluia. (Ps.138, 18.5.6) 

Traduzione:
Sono risorto e sono ancora con te, alleluia. Tu hai posto su di me la tua mano, alleluia.
Mirabile è la tua conoscenza, alleluia.  


La grande “R” che occupa ampi spazi sulle antiche pergamene e sui nostri libri liturgici è il segno della Pasqua; dopo la grande “A” che, alla I domenica di Avvento, ha inaugurato con l’introito “Ad te levavi” l’anno liturgico, ecco ora il “Resurrexi” che ne indica il cuore. Pochi versetti del salmo 138, nella versione “cristologica” della Vulgata di Girolamo, divengono il testo dell’introito più importante del repertorio gregoriano. Dopo la commovente Veglia della notte precedente, la Messa del giorno si apre con questo nuovo annuncio di resurrezione. Un annuncio che, tuttavia, fatichiamo a non definire deludente per la veste musicale che lo ricopre. La melodia è scarna e procede costantemente in una modalità di deuterus che, da un Mi grave insistente e solo leggermente ornato da pochi suoni vicini, raggiunge raramente il La acuto che ne sancisce a fatica perfino l’appartenenza plagale a IV modo. Ci chiediamo perché a tanta solennità iconografica non corrisponda un’esuberante melodia; ci chiediamo il perché di un’ostentata distanza fra la centralità dell’evento liturgico e la marginalità dell’evento sonoro; ci chiediamo, insomma, che senso abbia annunciare la Pasqua di Resurrezione in questo “modo”. L’esegesi del testo risuona in una modalità che percepiamo insufficiente, non adatta a comunicare una notizia così sconvolgente. Il “Resurrexi” sta tutto in quel IV modo, che evoca contesti apparentemente lontani dal mistero che si sta celebrando. Pur senza cedere a schematismi esasperati, va ricordato che a ciascuno degli otto modi gregoriani (sistema denominato “octoechos”) i teorici medievali e di epoche successive attribuivano uno specifico “ethos”. La stessa arte medievale ha voluto rappresentare visivamente le qualità estetiche e di senso dei modi ecclesiastici. Celebri sono le raffigurazioni dei modi sui capitelli di Cluny e di Autun: nella fattispecie, sul capitello cluniacense relativo al IV modo, compare un’eloquente iscrizione che lo “spiega” assegnandogli un carattere funebre, accompagnato da un velo di tristezza.
L’introito di Pasqua è il punto di massima distanza fra le nostre aspettative e la proposta reale del canto gregoriano. Tale distanza è misurata sulla nostra incapacità di entrare in profonda sintonia con la “componente allusiva” di questo repertorio, vera chiave di volta del suo progetto liturgico-musicale. Va ribadito che non è corretto cedere ad uno schematismo esasperato, neppure riguardo alla teoria affascinante dell’ethos modale: ciò significa, banalmente, che non tutti i brani in IV modo sono collegati al lutto o alla tristezza. La questione, ovviamente, è ben più complessa. Detto questo, risulta comunque fondamentale che le diverse modalità, come del resto ogni altro elemento costitutivo del canto gregoriano, vengano considerate sotto diversi aspetti, ricercando ad esempio i rimandi formulari e le concordanze. La componente allusiva, propria della logica formulare (già considerata più volte nei contesti quaresimali), non può che estendersi anche alla logica modale; come serve una lettura intelligente della formula – non circoscritta a qualche evidente rimando a casi paralleli – così è necessario uno sguardo aperto in merito all’utilizzo di medesime strutture modali. Non basta uno sguardo “dal di dentro” per ogni brano gregoriano: va ricercata una logica di ampio respiro, tanto sul versante formulare quanto – come in questo caso –  sul versante modale. La “delicata” teoria dell’ethos dei modi può rivelarsi, in realtà, un prezioso aiuto per scoprire una sorta di “modalità tendenziale” che, partendo dal singolo brano, abbraccia un intero percorso liturgico, costruendo relazioni di senso e facendosi strumento di memoria e per la memoria. 
L’introito “Resurrexi” è segno, espressione e compimento di un percorso liturgico (il Triduo pasquale) durante il quale vengono celebrate – verrebbe da dire senza soluzione di continuità – passione “e” morte “e” resurrezione del Signore; l’attenzione, come si vede, è ora intenzionalmente riservata alla congiunzione “e”, che sancisce l’assoluta continuità dei tre eventi e li accosta sotto un unico sguardo secondo l’articolo di fede proclamato nel Credo: “… passus, et sepultus est, et resurrexit…”. Non è certamente casuale l’appartenenza alla modalità di deuterus dell’introito “Nos autem” che alla “Missa in Coena Domini” del Giovedì Santo apre il Triduo sacro. Nel celebre testo paolino (Gal.6,14) troviamo il sunto dell’evento pasquale: “Nos autem gloriari oportet in cruce Domini nostri Iesu Christi: in quo est salus, vita et resurrectio nostra: per quem salvati et liberati sumus”. (“Ma noi dobbiamo gloriarci nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, nel quale è la nostra salvezza, vita e resurrezione; mediante il quale siamo stati salvati e liberati”). Croce e resurrezione sono già accostati, intrecciati ed è contemporaneamente annunciata la prospettiva di salvezza in un’unica modalità di deuterus. Per completezza va anche ricordato che lo stesso introito “Nos autem” è a sua volta preceduto da un itinerario in deuterus tracciato dagli introiti previsti per le prime ferie della Settimana Santa. La “modalità tendenziale” che accompagna questo cammino non può che coinvolgere anche la Pasqua: il canto gregoriano pronuncia un “Resurrexi” carico di “memoria” e, pertanto, non separabile dai giorni “in deuterus” della Passione. Per questo motivo l’esecuzione isolata di questo introito nelle nostre liturgie ci sembra inopportuno e fuori luogo. Forse è davvero così, ma non per la proposta deludente avanzata dal canto gregoriano, quanto piuttosto per la nostra perdita di memoria.
La messa del giorno di Pasqua, tuttavia, non ha solo il colore scuro del deuterus. Se il “Resurrexi” si pone – com’è stato fin qui rimarcato – come compimento di un preciso percorso, è altrettanto vero che gli altri quattro brani del Proprio di questa Messa toccano tutte le categorie modali fondamentali del sistema dell’octoechos. Il graduale “Haec dies” è in protus (melodia-tipo dei graduali di II modo), mentre l’offertorio “Terra tremuit” ripropone il deuterus per un testo salmico (Sal. 75, 9-10)  di intensa drammaticità: “Terra tremuit et quievit dum resurgeret in iudicio Deus” (“La terra ha tremato e si è quietata quando è sorto Dio a fare giustizia).
Il vero giubilo non può che essere affidato all’alleluia “Pascha nostrum” e alla sua dirompente modalità di tetrardus autentico (VII modo) piena di slancio ‘giovanile’. Lo stesso testo paolino, arricchito da un ulteriore versetto (1Cor.5,7.8), viene fatto risuonare in tritus plagale (VI modo) come antifona di communio: la gioia pasquale trova qui un approdo sereno, devoto e si fa gioia piena e contenuta, profonda ed orante.
L’annuncio pasquale, punteggiato di nuovi “alleluia” in ogni brano e commentato dalla tanto nota quanto mirabile sequenza “Victimae paschali laudes” , viene finalmente completato in pienezza e, nell’arco dell’intera messa, risuona in tutte le possibili “lingue modali” che il canto gregoriano conosce.